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L'odore della notte - Riflessioni

 
L’odore di erba e di esaltazione la stordiva. Avanzava verso l’uscita principale, alla ricerca di un bagno dove stare un secondo da sola, fare pipì, e forse vomitare. L’alcool che aveva in giro per tutto il corpo la faceva sentire leggera e pesante al tempo stesso, tanto che non capiva, non ricordava esattamente come fosse arrivata fin lì. Attorno a lei, orde di ragazzi saltellavano in preda a una crisi da iperattività dovuta a miscugli di cocaina, acidi, birra e superalcolici. Seguivano imperterriti e coraggiosi la musica campionata e martellante, come potevano e come suggeriva loro la metilendiossimetilanfetamina. Ecstasy, per i profani. Per quelli che “i giovani vogliono solo divertirsi” e “le nuove generazioni non vogliono responsabilità”.
Sua madre era una di quelli. Le ripeteva queste frasi tutti i sabati, allo sfinimento, puntuale, ogni volta che la sentiva aprire l’armadio e scegliere i vestiti da mettere per la serata in discoteca. E le faceva la predica, l’aveva imparata a memoria, su velocità droga e ore piccole. Alla fine, lei indossava i suoi pantaloni strani e si truccava in quel modo ridicolo, piena di brillantini e colori accostati sulla faccia in modo così sbagliato che la facevano sembrare un pupazzo. Ma al Rosso piaceva proprio, così conciata. E piaceva anche a Luca, almeno così le aveva detto Laura un mesetto fa. Lei non si era ancora decisa a scegliere e, nel frattempo, aspettava che fossero loro a fare il primo passo. Avrebbe scelto quello che si sarebbe fatto avanti per primo, aveva deciso. Ché lei non è una di quelle che se la tirano, ma neanche una troia. Uno le bastava e le avanzava pure. Non era certo come Sammy, che ogni sera ne aveva uno diverso. Aveva pure il nome da zoccola, e la facevano uscire con loro solo perché i maschi erano in maggioranza, e la difendevano sempre. I maschi ti difendono sempre, se hanno qualcosa da guadagnarci.

Era arrivata alla grande porta bianca, probabilmente quella dei bagni. C’era un sacco di gente lì attorno, che andava e veniva ridendo o urlando o piangendo o bestemmiando, e lei già iniziava a vedere le prime stelline. Quelle carine, che partono dai lati e poi sempre più veloci si spostano verso il centro degli occhi, proprio davanti a te, e si ricongiungono in una sola grande stella luminosa. Se ci arrivi senza cadere per terra, sei una che va forte. Se la tocchi prima di iniziare il viaggio, si avvera il desiderio a cui tieni di più. Gliel’aveva detto Luca. Lui ci riusciva quasi sempre. Per questo era il più fico della compagnia, quello che decideva per tutti e tutti facevano quello che voleva lui, senza mai fiatare. Il capobranco. Se solo si muovesse, e facesse il primo passo...

Mentre se ne stava lì, indecisa se entrare o no o vomitare subito, le si avvicinò una sconosciuta con la testa che sembrava un puntaspilli e senza dire una parola la baciò, infilandole la lingua in bocca. Sapeva di vodka e di qualcos’altro, non riusciva a capire cosa fosse ma era un sapore così forte e fastidioso che le salì un conato improvviso. Senza riuscire a controllarsi rigettò la pizza e la birra e il gin tonic e il whiskey e tutto il resto addosso alla ragazza, che non aveva fatto in tempo a togliersi. Questa la spinse via in malo modo, facendola cadere a terra e riempiendola di insulti. Guardò dal basso verso l’alto quello che aveva fatto alla ragazza dalla testa strana, e iniziò a ridere. Rise tanto che dovette piegarsi in due dal mal di pancia. Rise in preda all’angoscia e all’euforia. Rise in preda agli spasmi, mentre l’altra continuava ad offenderla e a inveirle contro, rabbiosa.

Attorno a loro si era formata una piccola folla. Era arrivato pure il ragazzo della sconosciuta, e l’aveva presa a schiaffi davanti a tutti dandole della troia a voce alta e dicendole che se l’era meritato, e lei gli aveva risposto che era un bastardo che la usava solo perché era brava a fare i pompini e ogni volta alla fine la mandava via in malo modo col suo sapore in bocca, ma che a lei di essere la sua schiava non importava niente e che andasse pure a farsi fottere. E intanto, lei a terra continuava a ridere e aveva iniziato anche a piangere, ma nessuno se n’era accorto perché erano tutti presi dal litigio dei due innamorati.

Si sentiva un macigno sulla testa. Il vomito saliva tra una risata e l’altra e le sporcava la maglietta nuova, che aveva comprato il giorno prima. Le metteva in risalto quel poco di tette che aveva, l’aveva scelta apposta, così forse magari Luca o il Rosso si sarebbero convinti a non lasciarsela scappare. Davanti agli occhi le passavano immagini terrificanti, per questo piangeva angosciata, ma nessuno se ne rendeva conto. I mozziconi di sigarette accesi erano sciami di api, le persone lì attorno mostri a otto zampe, c’erano uno scarafaggio e un topo sbucati dal nulla che la volevano azzannare, le sue paure ingigantite milioni di volte, incubi da cui non riusciva a fuggire. Cercava di scacciarli e di difendersi con le mani e agitando le braccia. O forse erano solamente gli impulsi elettrici dovuti alla roba che aveva introdotto nel suo corpo, che lo pilotavano come meglio credevano. E mentre rideva e piangeva e vomitava in preda a dolori lancinanti, si ripeteva che non credeva fosse così. Che se lo avesse saputo, se avesse saputo che si stava così male, non l’avrebbe preso, quell’acido.

E’ che si era fidata di Luca. E voleva dimostrargli che era degna di lui. Le aveva pure fatto l’onore di scegliere quello che voleva prima di tutti. Non succedeva mai. Aveva detto orgoglioso a tutta la compagnia che la serata era dedicata solo a lei, visto che finalmente aveva deciso di provare il viaggio e di entrare nella famiglia. Una vera famiglia. Così, le aveva messo davanti al naso Fred Flinstone, Popeye, Fido Dido, Kermitt la rana, Batman, Starlight, erano tutti carini ma lei aveva scelto Fido Dido perché aveva anche il pupazzo gigante a casa sua, appoggiato sul suo letto, e le teneva compagnia quando si sentiva sola certe notti. Un po’ aveva paura ad appoggiare il cartoncino sotto la lingua, ma Fido Dido non l’avrebbe tradita, era un amico. Uno dei regali che le aveva fatto suo papà, prima di andarsene. Lo teneva come una reliquia, e lo pregava ogni tanto di fare tornare papà, ma poi si vergognava e lasciava perdere. A sedici anni non si fanno più certe cose.

E così, si era fidata di Luca, degli amici e di Fido Dido. Quando Laura, Sammy, Luca, il Rosso, il Matto e gli altri si resero conto che non c’era più, era già tardi. L’avevano caricata su un’ambulanza e l’avevano portata d’urgenza all’ospedale, a sirene spiegate. Quando tra la folla che assisteva al litigio dei due innamorati qualcuno si era reso conto che la ragazza a terra era ancora piegata in due e vomitava sangue, era scattato l’allarme e nella fuga generale qualcuno aveva chiamato il servizio d’ordine, che aveva chiamato la polizia e i carabinieri. Che avevano fatto venire il medico e gli infermieri. Di corsa.

Laura si stava facendo il Matto su un divanetto, Luca e il Rosso avevano chiuso Sammy in un angolo buio della discoteca e l’avevano convinta senza difficoltà a farselo succhiare insieme. Perché erano amici, amici veri, e dividevano tutto, anche le ragazze. In preda ai trip e alle fantasie, nessuno si era accorto che mancava una di loro, la festeggiata della serata. Ognuno pensava per sé. E intanto, in ospedale, qualcuno già faceva il numero che aveva trovato nel portafoglio della ragazza chiusa in sala operatoria. Era piccolo, da bambina, con Hello Kitty stampato sul davanti. Stava nella tasca interna dei pantaloni, quella che le aveva cucito mamma per non perdere i documenti e i soldi nella bolgia infernale. Così definiva sempre la discoteca. A causa di sue liceali reminiscenze dantesche.

E così, alle cinque del mattino, Laura aveva trovato tre o quattro chiamate senza risposta sul suo cellulare. Due venivano da casa della sua migliore amica, le altre da un numero sconosciuto. Non si ricordava quello che aveva fatto nelle ore precedenti, ma se lei fosse passata a salutarla lo ricorderebbe di certo. La stronza se n’era andata, aveva piantato tutti così, senza salutare, e aveva deciso di tornarsene a casa senza dire niente. Che stronza, da quel momento non era più sua amica. E mentre Laura diceva queste cose tra sé, riprendendosi dal viaggio e dal sesso col Matto, la sua ex amica se ne stava sotto ai ferri, in ipertermia e insufficienza renale, con il fegato che piano piano si stava spappolando. Sua madre era fuori, che aspettava, piangendo piano e pregando. Ché non poteva rimanere sola, che se l’avesse accompagnata lei tutto questo non sarebbe successo, che dovevano averla costretta, che sua figlia non faceva quelle cose, che se suo padre fosse qui sarebbe stato diverso, che avrebbe dovuto impedirle di uscire con quella piccola insolente, quella Laura, che l’aveva portata sulla cattiva strada, che gli adolescenti sono tutti così, caproni e testardi, che Dio non gliela poteva portare via perché doveva rimproverarla sul serio e insegnarle l’educazione, una buona volta.

Il chirurgo appoggiò i ferri. Scosse la testa. Il cuore aveva ceduto. Non c’era più nulla da fare. Sollevò il lenzuolo e coprì la ragazza. Poteva essere sua figlia. Si tolse la mascherina, i guanti e uscì dalla sala operatoria, cercando le parole giuste, se mai ve ne fossero state. Quando la donna incrociò il suo sguardo, chiuse gli occhi e capì. E mentre si disperava chiusa nel suo dolore, Luca e il Rosso, di ritorno dal rave, si facevano tranquilli una canna. E fu l’alba.


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