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La porta socchiusa - Eros Riflessioni

 
Fino a ieri eri il mio bambino.

Eri il piccolo che veniva da mamma perché qualcosa non andava, e si sfogava raccontandomi le paure e le sofferenze che lo affliggevano. E io ascoltavo attenta, qualunque cosa ti preoccupasse, annuendo con la testa e dicendo di tanto in tanto la mia, quando mi chiedevi un parere. Ti tenevo la mano, accarezzandoti la testa, scompigliandoti i capelli castani, così belli e setosi che te li invidiavano persino le tue compagne di scuola.
Quante volte ti ho raccolto dalla strada, mentre piangevi come un’aquila per un ginocchio sbucciato o un braccio graffiato, e ti riportavo a casa tenendoti in braccio, e con la mano libera guidavo la bicicletta col pedale mezzo rotto, quella che ti faceva sempre cadere. E che urla e strepiti ho sopportato, quando dovevo medicarti con l’alcool le ferite, per disinfettarle ed evitare il rischio di brutte infezioni. Con mille premure e mille attenzioni, ti sorridevo dicendoti “un ometto non piange”, e tu, che volevi fare l’ometto, smettevi subito di far scendere le lacrime.

Fino a ieri ho assistito alle tue prime cotte, alle tue infantili e infuocate passioni per la ragazzina della porta accanto, col suo grembiulino rosa e il fiocco bianco e i suoi occhi neri e belli e profondi. E non riuscivo a non ridere quando ti sorprendevo arrampicato su una sedia, a guardare dallo spioncino della nostra porta, fuori sul pianerottolo, in attesa che passasse “il tuo angelo”. Era così che la chiamavi. Hai sempre avuto sin da piccino quella dose di romanticismo che piace tanto alle ragazze della tua età, quelle che sognano ancora il principe azzurro, perché non hanno realizzato il fatto che non esiste. Lo capiranno.

E quando tu mi sentivi ridere mentre dal salotto passavo in cucina, scendevi di corsa dalla sedia e venivi a rimproverarmi, e io mi scusavo perché avevi ragione tu, non è affatto bello trovare divertimento nelle passioni degli altri. E poi si sa che è tutta invidia. Perché ognuno di noi vorrebbe provare una passione così forte, così totalizzante, da fare cose matte e perdere la testa. Completamente.

Quante volte ti ho detto di fare i compiti, e quante volte ti ho sgridato perché non avevi voglia di studiare e pensavi troppo agli amici, al calcio, alle serate in cortile e ai videogiochi. Quante pagelle ho controllato, quante ne ho firmate, quanti colloqui dai maestri e dai professori, quante discussioni, ma anche quante soddisfazioni sei riuscito a darmi. Ti ho visto crescere, senza rendermi bene conto del tempo che passava, senza capire veramente che da bambino stavi diventando un ragazzo, e stavi affrontando esperienze belle e brutte per diventare uomo.

Fino a ieri eri il mio piccolo.

E quel dolore che sento, mentre con gli occhi lucidi e il groppo allo stomaco ti osservo silenziosa che fai l’amore con il tuo angelo sul mio letto matrimoniale, che lo fai con una foga e una passione che non credo di aver mai conosciuto, è frutto di emozioni che non dovrei provare per un figlio. Perché sei il mio bambino e io ti amo sopra ogni cosa al mondo. E dovrei essere felice per te.

Avevi pensato a tutto. I genitori fuori, la tranquillità della casa vuota, la musica in sottofondo, il mio letto, quello di tuo padre, lo stesso dove ti abbiamo concepito diciotto anni fa. Una notte tiepida, sbrigata in fretta, dopo una giornata trionfale, una festa di nozze piena di parenti e amici e mezzi sconosciuti. Un matrimonio fatto di affetto e rispetto. Ma tu, pur così giovane, hai già capito la lezione. Sai bene che non esiste solo questo, esistono anche altri sentimenti, altre emozioni. Sai che esiste il desiderio: intenso e a volte implacabile, folle e senza ritegno. Avevi pensato a tutto salvo che agli imprevisti: io che rientro prima dal lavoro, ad esempio.

Dalla porta socchiusa della mia camera da letto, dal corridoio buio, un piccolo spiraglio di luce, gemiti e lunghi sospiri, una voce di ragazza che ti chiama per nome, la tua voce: ho capito all’istante, in un secondo, e non ho resistito alla tentazione di vedere coi miei occhi. Ho appoggiato in silenzio la spesa e le chiavi sul tavolo, ben attenta a non fare alcun rumore. Sono stata spinta fino a qua, forse per il bisogno di provare quella fitta di gelosia, tremenda. Quell’invidia di chi è consapevole che non potrà mai provare quello che tu e lei state provando in questo momento. D’improvviso mi sento vecchia. E pensare che nessuno mi dà la mia età, mi dicono sempre che sono così bella e giovanile, e che i miei quarant’anni sono ben portati.

Ma sento dentro di me che la realtà è diversa. Lo vedo. Lo percepisco in ogni angolo di me stessa mentre mi faccio violenza e sto a guardare. I vostri corpi freschi, abbronzati e avvinghiati, le vostre lingue che si rincorrono, le vostre bocche che si assaggiano mentre vi godete vicendevolmente. Avete dalla vostra il tempo, avete la curiosità e la voglia di scoprire, sperimentare, provare piacere. Per voi è un inizio, qualcosa di incredibile, un viaggio lungo, a volte doloroso, pieno di sorprese, un viaggio che non potete programmare.

Ti guardo mentre affondi dentro di lei, che da bimba deliziosa s’è fatta donna provocante. Il suo ventre teso, la pelle lucida di sudore, le gote accaldate, il suo seno come marmo: anche io ero così, una volta, ma non ho avuto la sua fortuna, non ho avuto accanto una persona che ha saputo apprezzarlo a dovere. E invece tu la scruti dentro agli occhi: c’è un fuoco che arde in voi, lo si vede da come la prendi, da come le tue dita affondano nei suoi fianchi e da come la tengono salda, da come lei si lascia possedere sentendo le tue mani da adolescente sui suoi glutei sodi.

Due splendidi cuccioli d’uomo. Due corpi baciati dalla Dea Giovinezza. Due ragazzi che si amano e diventano, insieme, un uomo e una donna.

Mi chiedevo, a volte, come saresti diventato da grande. Non avrei mai creduto che un giorno l’avrei scoperto in modo così violento.

Ho avuto per un attimo la tentazione di spalancare la porta, ma la mia razionalità, la mia bontà di mamma, mi hanno fermato. Mi ha sfiorato il desiderio di entrare e farvi vergognare, di rimproverarvi, di schiaffeggiarvi entrambi, ma poi mi sono detta che in questo stesso modo avrebbe reagito mia madre nei miei confronti, anni fa. Altri tempi, tempi diversi. E così faccio qualche passo indietro e sempre in silenzio riprendo la spesa e le chiavi ed esco dalla porta, attenta a non destare sospetti, a non fare rumori che possano disturbare il vostro idillio dei sensi. Sarebbe un peccato mortale.

Fino a ieri eri il mio bambino.

Ma quello che ho visto oggi, su quel letto, lo stesso dove io ti ho concepito diciotto anni fa, ha aperto una voragine dentro di me. Inizio a sentire, all’improvviso, tutto il peso dei miei anni. E non so perché, ma non mi sento più così importante.


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