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Pezzi di me - Sentimenti

 
“Te lo dovevi aspettare”

Nient’altro. Nessuna spiegazione, niente che possa aiutarmi a capire. Solo questo. Me lo dovevo aspettare. D’improvviso mi trovo costretta a raccogliere pezzi di me, sparsi per tutta la stanza.
Non li trovo. Sento le budella attorcigliate, lo stomaco pesante. Prepotente, fa ancora parte del mio corpo. Da solo peserà cento chili. E’ un fardello che mi trascino dietro come un automa, senza più lume della ragione, cercando di guardare dove calpesto per non inciampare, ma senza vedere nulla. Null’altro che buio e lacrime e dolore.

Ho sbagliato. E’ stata colpa mia. Ma anche tu sei stato ingordo.

Ho ceduto al panico. Ma anche tu hai ceduto all’apatia.

E ora che mi strofino gli occhi e il naso con la manica del maglione. Ora che lascio il moccio sulla maglia perché non ricordo nemmeno dove ho messo i fazzoletti e la borsetta. Ora che ti ho perso, sento che il mondo sta per crollare sotto ai miei piedi e non posso farci nulla.

Me lo dovevo aspettare.

Eccolo là, il mio fegato. Sta sotto al tavolino. Ha assorbito disperatamente tutte le negatività di questi giorni di agonìa, lottando senza tregua. Ce l’ha messa tutta, ma non ce l’ha fatta. Lo raccolgo e lo metto sul tavolo, in attesa di riunirsi agli altri pezzi di me.

Le braccia che ti hanno stretto e abbracciato forte tante volte, le raccolgo. Sono tremendamente dure e livide, senza vita, e faccio fatica a credere che tu riesca a fare a meno di loro. Eppure è così. Se ne stanno accasciate e abbandonate sul divano, dove abbiamo fatto per la prima volta l’amore.

Non era amore, era sesso. Ma non era nemmeno sesso, era curiosità, desiderio, accettazione. Eravamo simili, io e te, solo che ancora non lo sapevamo. Lo avevamo fiutato, lo sentivamo. Non ci ha aiutato. E sono incazzata con la vita per questo. Credo di essere incazzata anche con Dio, anche se so che Lui è più forte di me. E’ più forte di tutto il resto, e non sta certo a preoccuparsi se ce l’ho con Lui, adesso. Mi ha dato e poi mi ha tolto tutto ciò che avevo. E mi rimetto alla sua volontà.

Piuttosto, farei bene a incazzarmi con me stessa. Dio c’entra ben poco con gli errori che ho commesso io, e certo non mi ha mai puntato un fucile alla tempia per costringermi a sbagliare. Non ha tempo. Non sono quelli i suoi metodi. L’ho fatto io, da sola. La stronza sono io.

Entro nel cesso, e sul lavandino trovo le mie labbra, le stesse da cui sono uscite parole d’amore, di stima, di affetto, di rabbia, di paura, di incomprensione, di stupidità. Quelle labbra che ti hanno baciato, esplorato, sentito, capito, assaggiato. Le prendo e me le metto in tasca, tanto a te non serviranno più.

Infine, eccolo là, il mio piccolo cuore. Se ne sta in un angolo, spezzato in due. Racchiude tutte le promesse, gli sguardi, l’amore, la vita. Quella vita che era nostra, che adesso non lo è più.

Me lo dovevo aspettare, è vero.

Ché anche tu hai un limite. E la pazienza finisce. E le certezze crollano. E la fiducia svanisce. Allora scusami se credo che sia stupido finirla così. Scusami se sapere dei tuoi dubbi, della tua stanchezza, della tua lontananza, mi fa soffrire. Sei umano, non sei una macchina perfetta. Sei fallibile, come me.

“Ci apparteniamo”

Quando lo dicevo, era vero. Ed è vero anche adesso. Solo che tu non mi vuoi più. Non ci credi più. E chi sono io, per dirti a che cosa devi o non devi credere?

Una titubanza. Due. Tanto è bastato. Uno smarrimento improvviso. Come quando in una giornata di pioggia, con l’ombrello rotto, ti viene un capogiro, e scivoli e cadi sul marciapiede, inzuppandoti d’acqua. E ti fai male.

Ci apparteniamo, ed è vero. Ma è vero solo per me, che sto qua a cercare se ho dimenticato qualcosa, in questo piccolo appartamento, che sembrava fatto apposta per noi. Mi sono preparata alla tempesta, come abbiamo sempre fatto. Si diceva che l’importante è sopravvivere. Solo che questa volta è stato un uragano, a cui nulla ha resistito. E io mi ritrovo a brandelli, e tu che mi guardi muto mentre, silenziosa, cerco di raccattare quello di mio che è rimasto.

E se non è rimasto niente?
Che cosa mi porto via, se non c’è niente?

L’amore spesso non basta, da solo, a mandare avanti una storia. E poi, quante volte si usa la parola amore per identificare una semplice passione, una scopata, un affetto breve e fuggevole. La nostra storia non era nulla di tutto questo. Effimero. Troppo effimero per descrivere quello che siamo stati noi. Noi, che siamo stati tutto. Ma allora, perché non mi rimangono solo che pezzi di me, sparsi per la stanza? Io vorrei qualcosa di te, da tenere vicino al cuore, per guarire.

Vorrei qualcosa di tuo, per capire che cosa è stato che ha portato questa catastrofe. I tuoi dubbi, le tue titubanze. Le tue domande, le tue insicurezze. O la tua risata. Un pezzettino del tuo cuore, da unire al mio, per un po’ o per sempre. Vorrei solamente qualcosa di tuo, ma tu duro, mi dici che emergerà il peggio di noi, che rimarranno solo rancori e ripicche. Non riesco a crederci. Non ti credo. Non ti credevo nemmeno quando mi hai detto che era finita. Eppure è stato così.

E' vero. Me lo dovevo aspettare. Ma ora fa tremendamente male.


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